Chi sono - Vanessa Cappella
93
page-template,page-template-full_width,page-template-full_width-php,page,page-id-93,bridge-core-2.0.2,ajax_fade,page_not_loaded,,qode-title-hidden,qode_grid_1300,hide_top_bar_on_mobile_header,qode-content-sidebar-responsive,qode-theme-ver-16.8,qode-theme-bridge,disabled_footer_bottom,qode_header_in_grid,wpb-js-composer js-comp-ver-6.2.0,vc_responsive

Chi sono

Vanessa Cappella

Lo ricordo come fosse ieri, ma avrò avuto otto o nove anni. Forse l’età più bella, in cui non sei più un infante e ancora non hai conosciuto i travagli dell’adolescenza, ma sei già abbastanza sveglio per capire tante cose.

 

Mio padre mi chiese: “Vanessa, cosa vuoi fare da grande?”.

Eravamo in casa ed era un momento di quiete dopo il pranzo. Quella domanda mi arrivò un po’ inaspettata, ma non mi trovò completamente impreparata e così risposi quasi subito:

 

– “Non lo so per certo, ma l’importante è che io possa scrivere. Questo è quello che voglio fare da grande”.

– “Potresti fare la giornalista allora!”, esordì a quel punto mio padre.

– “E cosa fa una giornalista?”, chiesi, incuriosita.

– “Una giornalista scrive articoli sui giornali, intervista le persone, cerca la verità”.

 

Catturai quelle parole come una scoperta preziosa. Fu lo spazio di un respiro più ampio e profondo. Fu una parentesi di una manciata di secondi, ma abbastanza lunga per decidere tutto il corso della mia vita.

 

Mi piace. Allora da grande farò la giornalista!”.

 

Oggi posso dire di aver mantenuto la parola data quel giorno di ormai tanti anni fa. Nel 2007, durante gli studi universitari in Lettere Moderne prima ed Editoria e Scrittura poi, ho iniziato a fare la mia gavetta, portando avanti contemporaneamente la duplice strada di giornalista e ufficio stampa.

 

Nel 2011 sono approdata a Repubblica, dove ho completato la mia formazione con un tirocinio di sei mesi: avevo 26 anni, fresca di laurea, ed era un sogno che si realizzava. Ricordo ancora i pizzichi con cui torturavo il mio braccio nei primi giorni in redazione, per convincermi che era la realtà e non ero vittima di un’allucinazione. I miei lividi hanno confermato che era tutto vero.

 

Nel 2012 sono diventata giornalista pubblicista: amo scrivere di diritti sociali, salute, cultura e non solo. Negli anni a seguire ho lavorato in uffici stampa, continuato a collaborare con Repubblica, aperto un blog sul Fatto Quotidiano, studiato nuovi mezzi di comunicazione e avviato LuVaHop, il mio piccolo studio, insieme all’amica e collega grafica Lucilla.

 

Ho abbracciato varie volte progetti per il sociale, ma mai come quello arrivato  sulla mia strada nel 2019 con la onlus Still I Rise, attiva per l’educazione e protezione dei minori profughi e con la quale è stato amore a prima vista. Qui, oltre a gestire tutte le attività di ufficio stampa, ho iniziato a intraprendere campagne di advocacy e a curare i rapporti con il Parlamento Europeo.

 

E domani, dove mi vedo? Continuerò a essere giornalista, lavorerò nella comunicazione, abbraccerò nuove sfide, ma quello che conta è riassunto in quella risposta che diedi tanto tempo fa a mio padre e che non è ancora cambiata.

 

 

L’importante è che io possa scrivere.

Dicono di me